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Sport a Roma 25 settembre 2020 Calciatori italiani, ci siete ancora? In un calcio globalizzato, che senso ha l’identità? Ormai li contiamo sulle punte delle dita.
Chi? I calciatori italiani in serie A. Un campionato, come sappiamo, ormai in preda
a un’esterofilia straripante e incontrollata, figlia di questa moderna Europa
malamente integrata e globalizzata. Nella quale la vera inclusività è utopia e
l’arricchimento tra le differenze quasi un reato. Attenzione però a considerare questa fase
come un periodo buio e soprattutto passeggero, perché il problema è alla radice
e forse il calcio italiano ne è soltanto una “vittima”. In fondo, se ci
pensate, come si può pretendere che il sistema calcio rimanga estraneo, dentro
un’ampolla di vetro, a tutto ciò che lo circonda? Il problema è, come già
detto, nel moderno sistema globale, che spaccia il più sfrenato consumismo e
sfruttamento di esseri umani per integrazione. Sentiamo discutere tanto e da più parti sulla
necessità di impellenti riforme “protezionistiche” nel mondo del calcio, per
tutelare i vivai ecc. A noi, sinceramente, sembrano inutili. L’unica vera soluzione, ci sembra quella di
integrare anche nel calcio questi grandi flussi migratori, di incanalarli per
quanto possibile. L’insegnamento in tal senso ci arriva dalla Germania, che ha
cominciato questo percorso già da diversi anni e che parte sin dai primissimi
livelli dei settori giovanili: inserire e integrare i “nuovi tedeschi”. Il
risultato lo vedemmo nei Mondiali brasiliani, stravinti dalla Germania, dalla
“nuova” Germania, piena zeppa di tedeschi con origini brasiliane, polacche,
addirittura africane. Impensabile solo fino a un decennio fa. L’unico modo che ha l’Italia del calcio per
uscire da questa situazione critica e tornare a competere ad altissimi livelli
è seguire questo modello. Certo, ci sarà anche qualche ottuso
tradizionalista che un giorno, dopo che questo processo sarà completato e
magari vinceremo un altro Mondiale, si chiederà: ma davvero ha vinto l’ Italia?
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