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Sport a Roma 18 febbraio 2021 Quando Tomba divenne un dio Calgary ’88, dallo sport al mito E chi se li dimentica.
Calgary 1988, Canada. XV giochi olimpici invernali. Fu lì, sul finire dei
favolosi anni ’80, che il più grande sciatore italiano di tutti i tempi e tra i
più grandi di sempre, abbandonò lo sport ed entrò nell’epica. Sì, fu dopo quei due
slalom (“gigante” e “speciale”) di oro puro, che iniziammo a vederlo con altri
occhi. Qualcuno lo pregò, altri sacrificarono agli dèi per non vederlo mai
smettere di scendere con quella potenza mista a tecnica, a velocità, a tutto. Certo, già dal 1987 aveva
mostrato al Sestriere il suo enorme talento. Ma lì, in Canada, no, non
fu di questo mondo. Calgary segnò il confine definitivo tra il campione e la
divinità. Lo venerarono. E fecero bene. Slalomista già in culla,
in quelle olimpiadi si cimentò nelle due diversificazioni della stessa
disciplina: slalom gigante e slalom speciale. Nel primo, nella manche
iniziale, fu un razzo nella neve: più di un secondo ai rivali austriaci e
svizzeri, che presero atto e prepararono la seconda parte di gara. Niente da
fare, Tomba gestì tranquillamente, senza forzare troppo, il largo vantaggio
iniziale. Vinse, così, la sua prima medaglia d’oro. Devastando subito gli
avversari. Un trionfo? Certo. Era diventato campione olimpico. Non ancora,
però, divinità. La trascendenza lo
avvolse nella prova di slalom speciale. Anche qui due manches. Anche qui
avversari di tutto rispetto, tra cui il tedesco dell’ovest Frank Worndl, Paul
Frommelt del Lichtenstein, lo svedese Ingemar Stenmark, lo svizzero Pirmin
Zurbriggen e l’austriaco Bernhard Gstrein. Nella prima Tomba si
piazza terzo. Forse, pensavamo, ha già dato tutto nel trionfo precedente.
Pensieri ingenui di comuni mortali. La seconda manche è una
rimonta incredibile. Scende Gstrein e con 1:40.08 (tempo complessivo di prima e
seconda prova) è in testa. Poi Frommelt scalza l’austriaco dal trono con un
ottimo 1:39.84. Poi, Alberto. Scende potente, tecnico, velocissimo nel tratto finale:
è primo, ma ne devono scendere ancora alcuni pericolosi, soprattutto uno, il
tedesco Worndl. L’oro se lo giocano sul filo dei centesimi. Il tedesco non sbaglia
quasi nulla. Già, quasi: 1:39.53, sei centesimi dietro a Tomba. Alberto ha
vinto ancora. Seconda medaglia d’oro consecutiva tra abbracci infiniti. Soprattutto, l’apoteosi.
Nel vero significato del termine: assunzione al cielo di un mortale, in senso
epico ovviamente. Una prova? Eccola: per trasmettere
in diretta la seconda manche fu interrotta momentaneamente la puntata del
Festival di Sanremo. Milioni di italiani
incollati alla tv, uniti dall’emozione, inchinati al dio della neve.
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