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Sport a Roma 08 giugno 2021 L’estate più felice Trentuno anni fa “Italia ’90” e le sue, irripetibili, notti magiche Inseguivamo un goal. Sotto
il cielo di quell’estate tutta nostra. Giocosi e giocondi, ignari del sipario
pronto a calare su un’epoca alla quale avevamo chiesto troppo. Poco dopo, come
un tornado a spazzare via false ingenuità, arrivarono Tangentopoli prima e Maastricht
poi. Eppure, già novembre ’89 avrebbe dovuto dirci qualcosa: crolla il Muro e
noi con lui. Voltarono pagina e noi con loro. D’altronde, per dirla con Marc
Bloch, storico francese di inizio Novecento, “gli uomini sono figli dei loro
tempi più che dei loro padri”. La dolce estate pallonara
del ’90 fu l’ultimo affresco di quando eravamo ancora noi. Sognatori incurabili
e ingenui furbastri, certi che non esistesse limite al bizzarro carrozzone
degli anni Ottanta, benessere orgiastico di risa semplici e sguaiate, di
abbracci così leggeri da dispensarne a volontà. Ancora davamo per scontato che
una tavolata di venti persone festanti, una tv a schermo tondeggiante e un siciliano
dagli occhi spiritati bastasse per essere felici. L’apoteosi della banalità. O
no? L’estate più felice non
fu un via vai di emozioni. Fu un’emozione unica e basta. Un’onda d’urto che investì
tutto il Paese in quei giorni dove bastava un brivido a trascinarci via.
Aggregazione, socialità, leggerezza, spontaneità. Scegliete il termine che preferite
e domandatevi se oggi esiste. Niente, neanche uno. Forse qualcuno latitante e
braccato da qualche parte ancora c’è. Ma vallo a trovare. Troppo “vecchia”
l’idea di stare insieme dal vivo a condividere qualcosa. L’estate più felice la
cantammo tutti a squarciagola. Il calcio era un fenomeno sociale ampissimo e
con mille sfaccettature. E allora tutti dentro, nessuno restò fuori, anche chi
ignorava la forma di un pallone. Ma a chi importava? Noi volevamo stare
insieme, tutti, il più possibile. Un’estate
italiana di Bennato e Gianna Nannini fu la colonna sonora di piazze piene,
balconi imbandierati, urla esagerate, macchine addobbate e via cantando. E
allora cantiamo ancora: non eravamo “smart”, “fluidi” e virtuali. Eravamo semplici,
quello sì. Forse troppo, quello sì. Forse felici, quello sì. L’estate più felice era
una giostra di colori e il vento accarezzava le bandiere. Quelle di tutte le
squadre partecipanti e dei loro tifosi venuti da ogni parte del mondo. Dai
“leoni indomabili” del Camerun di Roger Milla e Oman Biyik, che pronti via segna
subito di testa all’Argentina di Maradona e poi piange come un bambino
abbracciando lo stregone, fatto inserire dalla Federazione africana come
dietologo. Uno spasso. Poi, la Colombia dei volti “rassicuranti” di Higuita e
Valderrama, la pancia strabordante del genio romeno di Hagi, le facce pazze e
allegre, un tantino “borderline”, di Caniggia e Gascoigne. L’estate più felice aveva
la voce di Pizzul, vera narrazione del cuore, educata, cortese e professionale.
Entrò nelle nostre case senza urlare, rimbalzando qua e là dalle finestre o dai
balconi dei vicini, al tempo “vicini” per davvero, in tutti i sensi, tra rumori
di piatti, bicchieri e grida di bambini. Sentivamo di esserci davvero tutti,
insieme. A proposito di Vicini, ci fu Azeglio, ct di quella nazionale tutta cuore e talento. Un gentiluomo. Perdemmo in semifinale ai rigori, a Napoli, contro Maradona. E piangemmo tutti. Quella sera, il tre luglio del 1990, su Raiuno si collegarono ventisette milioni e mezzo di telespettatori. Resta ancora il dato di ascolto più alto di sempre. Poi, come un temporale di fine estate, la magia finì. Il mondo prese un’altra direzione. Ora, per le ragioni che sappiamo, un tavolo da cinque già mette paura, dando retta agli esperti in tv. E allora la mente va all’estate più felice. A una tavolata di venti persone allegre e pazze. Che davano retta a un siciliano dagli occhi spiritati.
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