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Sociale a Roma 04 aprile 2020 Fai bei sogni Ai “ragazzi del coronavirus” Distanziamento sociale.
Due parole. Sempre, continuamente, incessantemente. Ripetute come un mantra da
ogni organo d’informazione e da ogni esperto in materia. Giusto. Senza alcun
dubbio per questi giorni e forse i prossimi mesi. Qual è il problema allora?
Che ormai da più parti la prospettiva di distanziamento sociale sta ampliando
la sua durata, la sua forma: si parla di lungo periodo, di anni addirittura, ci
viene detto che dovremo cambiare nel
tempo il nostro modo di vivere, che per sconfiggere del tutto questo virus,
saremo costretti a lavorare sempre più da casa, che meno ci vedremo e più
avremo possibilità di sopravvivere in sicurezza. Un abbraccio è alla stregua
di una coltellata dritta al cuore. E allora vuoi mettere, te ne stai con il tuo
smartphone ultra moderno, un cuore via
WhatsApp sarà certamente più sicuro. Tanto è uguale. La vita, non da oggi, è
lì. Nel solito labirinto virtuale, nichilista e accecante nei suoi bagliori
effimeri, figli diretti di una ieratica ipertecnologia gestita da una post
finanza globale e inumana, nella quale
siamo costretti identici, inebriati da un lusso che non c’è, dove il tutto si
confonde col nulla e i veri valori umani sono sovvertiti. Figli illegittimi della
storia dell’uomo. Fatta di comunità e aggregazione spontanea, spesso violenta,
a volte pacifica, ma sempre umana; c’è chi da una piccola comunità ha creato
imperi sconfinati e chi da una piccola tavola un’umile famiglia, chi ha lottato
per sé, chi per gli altri, chi ha odiato profondamente e chi amato
incondizionatamente. Sempre, umanamente. Sapete, a volte il nesso
tra complottisti e visionari con disturbi psichiatrici è scontato per molti.
Per alcuni invece no. C’è chi si fa domande, chi osserva, pur nel suo piccolo
angolo di mondo. Notiamo una grande casualità: poco prima dell’avvento di
questo infame virus, che ci sta portando via migliaia di affetti, il declino
inesorabile della vera socialità era già evidente. Una socialità ridotta a
brandelli dall’illusoria globalizzazione post capitalistica e disumana, in cui più
sei “social” più sei distante, più condividi e più sei solo. Almeno una volta la
chiamavamo solitudine. Se eri solo, lo eri davvero; eri sinceramente, onestamente
solo. Soprattutto, eri consapevole di esserlo. Oggi non lo sai neanche tu
quando sei solo, puoi scrivere anche al Padreterno sperando che legga il tuo
post. Questo maledetto virus è
arrivato al momento giusto, perfetto per tentare di dare la spallata decisiva
alla nostra socialità. Per pura sfortuna (o no?) non c’è cura immediata,
definitiva e realmente neanche nel breve periodo potrà esserci, da quello che
ci viene detto. Per cui via al distanziamento sociale. Che, applicato al
medio-breve periodo, certamente è l’unica via per tutelare la salute di tutti e
sarebbe da incoscienti non rispettarlo. Da alcuni giorni il
messaggio che stiamo ricevendo sta cambiando però: abitudine al distanziamento
sociale come elemento imprescindibile della “nuova vita” post coronavirus, in
futuro dovremo stare attenti perché, una volta debellato, ci sarà sempre il
pericolo di qualcosa di nuovo e terribile. La cura? Creare un modello nuovo,
anzi finale diremmo noi, di vita: la paura di stare insieme realmente. Cui prodest? Alla post finanza
capitalistica che ha preso in mano da alcuni decenni l’economia mondiale, che
guadagna nelle speculazioni sui mercati globali, controllando popoli e
individui “regalando” loro una falsa libertà moderna e artificiale, sopprimendo
quanto di più meravigliosamente umano e quindi incontrollabile e pericoloso
possa esserci: la socialità. Le prime vittime sono i
giovani di oggi, i “ragazzi del coronavirus”, nati in un mondo già virtuale e
speculativo, incolpevoli anime sintetiche di perenni meccanismi di arricchimento
di pochi, affaristi miscredenti dell’essere umano in quanto tale, svuotato dei
suoi veri valori storici. Sono i giovani perché la storia ci insegna che loro
sono spesso stati il motore primo di ogni cambiamento umano, di ogni
rivoluzione, aggregazione o comunità che sia. Pacifici o meno, teneri e
violenti, visionari utopisti o concreti contestatori. Capaci di folli amori e
liti furiose, di vere solitudini e di abbracci sinceri. Ingannevoli, fedeli,
traditori e appassionati. In una parola: umani. Fino in fondo. Ecco, ora sono loro i
primi a essere recintati senza rendersene conto, almeno la maggior parte.
Controlla i giovani e controllerai il mondo. Sembra uno slogan. Lo è. Una flebile possibilità
di riappropriarsi della loro vita e cambiare tutto ce l’hanno ancora. Con la
fantasia. Che è libero pensiero. Quasi annientata ormai. Allenatela staccandovi
il più possibile dalle droghe tecnologiche di oggi. Che splendida compagna di
viaggio è stata la fantasia per generazioni di giovani sognatori. Studiate, nel
vero senso del termine, perché arricchire le conoscenze è l’arma più grande. Ora più che mai l’aiuto
dei nonni è decisivo. Già, quasi tutti quelli che il covid-19 sta massacrando
uno alla volta, come a scacciar via un passato che non dovrà più essere. I tanti, troppi, elencati
in gelidi bollettini serali magari avrebbero raccontato la sera ai nipoti che è
esistito davvero un mondo di libera umanità, che c’erano sogni fantastici, idee
e pensieri diversi, di qualsiasi tipo, che condividere era tutta un’altra cosa.
Che con la fantasia si evade e a volte si costruisce. Che si può immaginare un
mondo diverso, di qualsiasi tipo, ma libero da questa gabbia mentale. Resisti “ragazzo del
coronavirus”. Fai bei sogni.
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