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Sport a Roma 04 maggio 2020 La “Grande bellezza” granata Omaggio al “Grande Torino” Settantuno anni fa. Erano le 17.03 del 4 maggio 1949
quando l’aereo che riportava a casa Valentino Mazzola e compagni dalla
trasferta amichevole di Lisbona in casa del Benfica, andò a schiantarsi su
quella collina avvolta dalle nubi (in totale le vittime furono 31, tra loro
anche dirigenti, allenatori, giornalisti oltre all’equipaggio). Una squadra
imbattibile, per cinque stagioni consecutive campione d’Italia, prima nel
1942-43 poi, dopo i due anni di sospensione dell’attività agonistica per via
del conflitto, ininterrottamente fino al 1949 e chissà per quanti anni ancora. Fu uno schianto. Terribile. Spazzò via per sempre non
soltanto una squadra pressoché invincibile, ma soprattutto quella che più di
ogni altra riuscì a collocarsi nell’immaginario della gente come un autentico
punto di riferimento morale, sociale, diremmo anche esistenziale. Erano i primi
anni del secondo dopoguerra e quei ragazzi in maglia granata, in un’Italia che
provava a ricostruirsi dalle macerie, simboleggiavano per l’intero paese un
autentico riscatto sociale, un modo per tornare a sentirsi vivi nella
rappresentazione sportiva di una passione, di un entusiasmo puro dilaniato da
devastanti anni di odi tanto profondi quanto inumani. Erano anche gli anni di
Coppi e Bartali, altri due simboli eterni di quegli anni difficili ma sinceri,
gli anni di un paese che riusciva nonostante tutto a ricominciare, a
identificarsi nelle sue più intense passioni, in uno sport ancora concepito
come sentimento, aggregazione, educazione e quindi cultura. Già, lo sport come
cultura, il calcio come cultura, al quale veniva unanimemente riconosciuta
quella statura morale che se confrontata ad oggi si rischia di arrossire. Ed è proprio questo il punto: il vuoto. Il vuoto di
una società amorale, probabilmente ipocrita, sicuramente lassista nei
sentimenti oltre che ormai anche nelle passioni. E quale miglior cartina di
tornasole di tutto questo se non lo sport? Anzi meglio, se non il calcio inteso
nell’accezione di fenomeno sociale che racchiude milioni di persone? Paolo
Sorrentino, nel suo straordinario film da Oscar La grande bellezza, questo
vuoto ce lo ha rappresentato magistralmente, nella descrizione di una società
alla continua ricerca di valori effimeri, ricca di falsi moralismi e di tristi
felicità. Come il protagonista del capolavoro di Sorrentino
svela nel finale come abbia tentato nella sua vita di scrittore di ricercare la
“Grande bellezza” e di non esserne stato in grado, e di come sia arrivato a
concludere che essa si manifesta solo in alcuni “sprazzi” nell’arco di una
vita, così le lacrime di tutta Italia in quel 4 maggio ’49 riportano tutti gli
sportivi italiani indietro nel tempo, in uno di quegli sprazzi di infinita
bellezza che lo sport come la vita sa regalarti. Bacigalupo, Ballarin, Maroso,
Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola. Già, la
“Grande bellezza”.
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