Dal territorio con l'aiuto dei lettori. Aggiornamenti continui
>>>comunicaci la tua notizia<<< | ||
Sport a Roma 29 luglio 2020 ”Questo calcio fa schifo” Diretto e fuori dagli schemi, parla Mihajlovic, tecnico del Bologna Non ne può più. E noi con lui. Finalmente qualcuno che, nello
sport, non ha paura della verità. Sinisa Mihajlovic, allenatore dei rossoblù, lo ha detto
chiaramente e senza peli sulla lingua, come suo solito, alla vigilia della
sfida con il Lecce, poi vinta tre a due: «Questo calcio mi fa schifo, senza
tifosi meglio non giocare. Riaprite alla gente.» Lo ha seguito a ruota Gennaro
Gattuso, ex campione del mondo e attuale tecnico del Napoli: «Questo non è
calcio, è un altro sport.» Chiaro il messaggio? Agli sportivi italiani sì. E non da oggi, visti i disastrosi
dati riguardanti gli spettatori televisivi del surreale calcio del Covid e i
lettori di giornali e riviste online e cartacee. Escludendo, infatti, la finale di coppa Italia tra Juventus
e Napoli, partita inaugurale post lockdown, che ottenne picchi di share
rilevanti, dovuti per lo più a curiosità collettiva, il resto delle partite di
campionato è stato visto da pochissima gente. Un esempio? Eccolo: Napoli-Roma
del Covid ha avuto la metà di telespettatori rispetto alla stessa partita
giocata lo scorso anno. E attenzione, parliamo di qualche milione in meno. Il
dato forse ancora più allarmante è che non solo nessuno vede più le partite, ma
che in pochi seguono i vari approfondimenti, notizie e quant’altro. Come se la squadra del cuore non fosse più lì. E infatti è
così. L’amore e la passione per una squadra di calcio si alimenta dal contatto
umano, o comunque dall’assistere a un evento che trasmetta, anche a distanza,
umanità. Si diventa tifosi per “colpa” di un nonno, un padre, un fratello, un
amico. E in mille altri modi. Umani. Nessuno ha mai legato al suo cuore una
squadra per una rovesciata in allenamento di un super campione o per una posa
da macho davanti a una telecamera. C’è chi si è innamorato dal vivo, allo stadio, abbracciando
o imprecando col vicino sconosciuto, sventolando una bandiera nella nebbia di
fumogeni colorati. Chi lo ha fatto da casa, ascoltando il boato del pubblico
all’ingresso delle squadre in campo, ascoltando la “musica” ineguagliabile del
pubblico in sottofondo. Reale e non virtuale, come Covid comanda. Non è un caso, infatti, che in queste ultime partite di
cartone, l’odore nauseabondo del pubblico “disegnato” sugli spalti o, peggio
ancora, creato al computer, abbia invaso le nostre case molto più delle
raffiche di gol segnati. In fondo, ma neanche tanto, sono tutti segnali
evidenti di come sarà il calcio post virus. Distanziato. D’altronde ce lo dicono ormai quotidianamente: la vita di
prima non tornerà e l’emergenza sarà abitudine. Dovremo adattarci alla nuova
società disaggregata, piena di ansie e paure, gestibile e inumana. Certo, ogni tanto ci daranno una caramellina. Come la
parziale riapertura degli stadi a settembre: con mille controlli, distanze e
mascherine. Come un ricovero in codice giallo: dalla tua stanza guardi
fuori, qualche ragazzino gioca a pallone, uno segna, esulta, un altro, lì
vicino, lo abbraccia. Sei solo? Grazie al Covid.
|
.