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14 agosto 2020
Sebastiano Latini: «L’amore unisce il presente e il futuro, l’amore è rivoluzione»
L'autore del romanzo: L’abbraccio dell’albero si è confessato con noi di Eco
Un libro “violento” in alcuni casi molto crudo ma che non perde mai il filo conduttore: l’amore.
L’amore nella sua accezione più nobile e difficile, l’amore incondizionato che rappresenta una sorta di “rivoluzione” culturale e sentimentale.
Iniziamo dal titolo: perché l’abbraccio dell’albero?
«È il tema del libro: il protagonista a cui non do un nome, perché mi piace pensare che ognuno si possa rispecchiare in lui, non è un personaggio da imitare o idolatrare ma semplicemente offre al lettore una prospettiva diversa. L’abbraccio dell’albero perché il protagonista va dall’albero che diventa il suo confidente, quando aveva un problema, andava a rifugiarsi lì sotto».
Si può dire che il protagonista rappresenta il lato oscuro di tutti noi?
«In un certo senso sì, anche se attraverso le prove che deve superare, riesce a sovvertire il destino della propria vita. A un certo punto capisce che le cose dipendono da lui».
Trovo estremamente struggente l’immagine del bambino che si rifugia sotto l’albero; comunica un grande senso di solitudine no?
«Era estremamente solo perché a quell’età la tua compagnia sono i tuoi famigliari. Uno dei due e poi coinvolgeva anche l’altro, non dava attenzioni al bambino e lui per mettersi in evidenza si comportava in un certo modo anche a scuola, dove gli altri non potevano sapere la situazione e quindi veniva etichettato come un monello».
Quanto hanno pesato sul bambino episodi duri, come quando è stato messo in punizione in classe e non venendogli dato il permesso di andare al bagno, si fece la pipì addosso?
«Quello che gli è capitato è stato molto importante durante la sua adolescenza. Certi traumi che vivi e che un bambino non si sa spiegare poi riemergono: è come se lui avesse vissuto in una città dove ci sono solo nuvole, quando cresci pensi che nella vita ci sia poco sole».
Il bambino, che nel libro inizialmente ha sei anni, è stato costretto a crescere, quasi a saltare l’infanzia e l’adolescenza.
«Il protagonista viveva in un ambiente dove c’era violenza, già per un adulto è difficile affrontarlo, pensa per un bambino che riceve tutto nudo e crudo com’è. È come se mangiassi un sasso e prima o poi devi espellerlo, certi episodi si sono inseriti nei suoi ragionamenti e facevano parte di lui anche se non sapeva bene di cosa si trattasse».
È come se la sofferenza facesse parte di lui, come dici nel libro, è come se lui credesse di meritarsela?
«Era la sua condizione mentale, come se quella situazione fosse la normalità. Nel libro faccio una similitudine: quando lui, ormai uomo, parla con lo psicologo, si vede come davanti allo specchio con il viso pieno di ferite, la prima reazione è scappare. Non tutti hanno la forza per affrontare alcune situazioni altri preferiscono andare avanti, senza fermarsi, e non è una cosa da biasimare».
Però il confronto con le proprie sofferenze è importante: bisogna imparare a convivere con le proprie sofferenze.
«Sì ma la cosa non è così matematica, non tutti riescono a farlo; diciamo che bisogna essere pronti ad affrontare certe situazioni e penso che nella vita quel momento arrivi. Un conto è sorvolarle volutamente, un conto è rinviare di qualche tempo un’analisi, per riuscire a riprendersi un momento dall’accaduto. La psicoterapia è una cosa che ti fa diventare più limpido e che ti permette di affrontare meglio le cose che hai dentro».
Hai parlato adesso della figura dello psicologo: puoi entrare di più nel dettaglio di questo personaggio?
«Mi piaceva pensare alle sedute non in uno studio ma all’aperto perché alcune persone hanno paura dello psicologo. Per andare dallo psicologo devi essere molto coraggioso perché ti metti a nudo, io esorto le persone ad andare dallo psicologo, perché non è una figura che ti dà consigli o men che meno imposizioni: semplicemente è una persona con cui decidi di prenderti per mano e fare un percorso».
La vita del protagonista cambia grazie a un corso di formazione lavorativa, non ti sono sembrate un po’ retoriche le cose che si dicevano?
«Ad oggi, con una visione più chiara delle cose, la penso un po’ come te. In quel momento il protagonista aveva un bisogno assoluto di agganciarsi a qualche cosa: avrebbe potuto aggrapparsi alla religione o ad altre cose, così come lui si è aggrappato a quello. Però alla fine lo smonto: loro dicevano sempre “guarda avanti”, “tu sei, tu puoi”, ok… lui però, andando dallo psicologo si è guardato indietro. In quel momento era come se mi trovassi in una marana e io ci ho messo sopra delle tavole di legno, una colata d’asfalto e tanti begli alberi… ma la puzza ancora si sentiva. Per questo ho deciso di affrontarlo. Queste cose, il ritmo della nostra vita, sarà affrontato nel prossimo libro ma ancora è in fase di stesura».
In questo libro non c’è il lieto fine.
«Dipende dal punto di vista! In realtà il lieto fine è il figlio che insegna al padre che, nonostante tutto, gli ha dato la cosa più importante: la vita. Tu potresti non essere padre ma sicuramente sei figlio, quindi la responsabilità inizia in quel momento e questa responsabilità ti porta ad avere una comprensione verso i tuoi genitori. I tuoi genitori devi vederli come esseri umani, come figli, che hanno avuto dei problemi e che li hanno riversati su di te».
Il protagonista fa un piccolo viaggio, nelle zone circostanti a Roma, per cercare suo padre; eppure, le cose non vanno come sperava.
«Sì, qui c’è un altro messaggio molto bello: il protagonista dice che amando coinvolgo tutto e tutti! Quando amo, non è importante quello che mi torna indietro, perché già generando questo sentimento ho il mio “tornaconto”. Hai amato e questo sentimento positivo si è intriso dentro di te, dando sollievo alle tue ferite e questo sentimento basta, non c’è bisogno per forza di essere ricambiati».
Sì, ma tutti quanti abbiamo bisogno di essere corrisposti.
«Immaginala così: se ti trovi alla metà di quel ponte e continui a odiare tuo padre, questo sentimento non ti darà mai nulla di positivo e magari lo passerai a tuo figlio, è un gesto che migliorava il protagonista più che altro».
Ci vuole molta forza… riprende il “Comandamento dell’amore”?
«Sì e no… molti mi hanno detto che quell’albero è come Dio ma non è così, lui non andava dall’albero a chiedergli di cambiare vita ma di aiutarlo ad aiutare le vicissitudini che stava vivendo».
Qual è il senso vero di questo libro?
«Sicuramente è la condivisione di alcune esperienze di un essere umano che si è vergognato e ha sofferto. Adesso quelle sofferenze le porto con me, come in uno zaino, poi quando capitano abbraccio le mie sofferenze ma quando si comprende che si vuole amare non ci può essere più nessuna vergogna».


articolo inserito da: Alessandro Nardi
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