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Arte&Editoria a Roma 20 febbraio 2021 DIMO: Un inno per raccontare emozioni e appartenenza Intervista all'autore di La Lazio è
Ci riceve con cordialità Pino Di Monte, cantautore filosofo di vita. L’occasione è preziosa perché permette di affrontare l’affascinante tema della mescolanza calcio, emozione e musica. Dopo molti anni Pino Di Monte in arte DIMO ha deciso di fondere questi tre mondi in un unico universo di parole e note. Per farlo ha scritto e musicato i suoi pensieri in un inno per la sua amata Lazio, dal titolo La Lazio è. In una bella chiacchierata DIMO ci ha raccontato, oltre alla sua carriera, cosa ha voluto trasmettere e quali corde dell’animo del tifoso ha cercato di raccontare. Qual è stata la scintilla che l’ha avvicinata all’universo della musica? La scintilla è arrivata subito, sin dall’adolescenza. Ricordo che passavo i pomeriggi interi a leggere i testi delle canzoni che venivano pubblicati sulla rivista TVSorrisi e Canzoni, a cercare di capirne il significato e a volte a immedesimarmi nel loro contenuto e sentivo che questo mi dava emozioni. Io ho sempre avuto dentro di me la necessità di provare e di regalare emozioni, quindi decisi di imparare a suonare la chitarra per poter cominciare a scrivere. Scrivere per me è sempre stata una terapia, avere la possibilità di tirare fuori quello che si ha dentro. Perché ha scelto DIMO come nome d’arte? La scelta del nome d’arte DIMO è molto semplice: il mio cognome all’anagrafe è Di Monte, e sin dai tempi della scuola mi chiamavano DIMO, quindi lo spunto è partito da lì. Quali emozioni vuole trasmettere alla gente con le sue note? Le mie canzoni nascono un po’ tutte dalla strada e si può notare palesemente un atteggiamento talmente vero che credo di essere uno che veramente scrive e canta quello che ha visto e vede. In pratica, prendo dalla strada le esperienze e un modo di vivere che mi dà la possibilità di trasmetterlo in un secondo momento a un pubblico, e penso che questo la gente lo percepisca. Se dovesse tratteggiare i momenti più importanti del suo percorso artistico, quali sarebbero? Un momento importante del mio percorso artistico è stato a metà degli anni 90. In quel periodo frequentavo Renato Zero, stavamo spesso insieme. Ricordo che in quel periodo lui stava scrivendo l’album Quando non sei più di nessuno e io trovandomi spesso a casa sua ho avuto la possibilità di vedere come è nato tutto il disco. L’ho visto nascere, e spesso mi chiedeva un parere su una determinata frase o partitura musicale. Ho trascorso tutto il periodo con lui, Stefano Senese Dario Baldan Bembo nello studio che Renato aveva a casa. È stata un’esperienza che mi ha fatto crescere molto artisticamente. Renato in quel periodo ascoltò anche delle mie opere, e voleva pubblicarle con la sua etichetta, la Zeromaniamusic. Era tutto pronto, ma io ebbi improvvisamente dei problemi nella mia vita privata e non potei iniziare quel progetto. Beh, questo francamente è anche stato il mio più grande rimpianto: la mia carriera artistica probabilmente avrebbe avuto un altro percorso. Peccato. Qual è il ricordo della sua carriera che porta nel cuore? Un ricordo che porto nel cuore è quando ho realizzato il mio album La Forma del Pensiero. Un album di nicchia, scritto a quattro mani con l’artista Giovanni Scialpi; abbiamo lavorato insieme in studio per più di un anno. Devo dire che ho scoperto uno Scialpi molto preparato musicalmente, e in questo album abbiamo creato insieme anche gli arrangiamenti e realizzato dei video musicali. La cosa che ricordo e porto nel cuore è la sensibilità di Giovanni, che si emozionava quando ascoltava i miei testi. Un bel momento, per l’appunto carico di emozionalità come piace a me. Oltre alla musica ha la passione per il calcio, cosa rappresenta per lei la Lazio? La Lazio rappresenta per me quell’amore che mi porterò nel cuore tutta la vita e anche oltre, quell’amore pulito, sano, vero. La Lazio è per me un secondo figlio, da amare a prescindere, da difendere a ogni costo. Mi sono deciso a scrivere un inno per la Lazio dopo essere stato “tallonato” dal mio amico Massimiliano Ferraresi per più di un anno. Un amico che conosco da sempre, marinavamo la scuola nei primi anni Ottanta pur di andare a vedere gli allenamenti in quel di Tor di Quinto. Massimiliano è stato per più di un anno a dirmi: “Ma lo vuoi scrivere un inno per la nostra Lazio???”. Ma io rimandavo, rimandavo sempre, fin quando una mattina di gennaio scorso mi sono svegliato e mi sono messo al pianoforte e ho cominciato a scrivere guardando la Lazio nella prospettiva del tifoso. Le emozioni che ho voluto trasmettere sono quelle dell’appartenenza, specialmente in questa nuova era, dove la tecnologia ha distanziato i rapporti umani e dove la pandemia li ha quasi annientati. Ho pensato di scrivere un inno con un testo che raccontasse come un tifoso vive nella quotidianità il rapporto con la Lazio, questo amore incondizionato con questa realtà astratta ma reale, e sottolineando anche la storicità di questa polisportiva. Il titolo non a caso è La Lazio è, ricordando una citazione del generale Vaccaro fatta per l’appunto esattamente 100 anni fa, nel 1921. La Lazio è, non proviene.
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