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Sport a Roma 17 giugno 2021 Lo scudetto dei papà 17/06/2001: vent’anni fa, Roma Campione d’Italia Lo alzò al cielo una
decina di volte. Tra migliaia di olè. Un papà, in braccio un bimbo di pochi
mesi. Nel settore distinti, dalla curva li vedemmo, splendidi. Per cinque
minuti migliaia di persone pensarono solo a loro due: un papà e un bimbo
addobbato a festa che se la rideva come un pazzo a fare su e giù tra gente
festante. Saranno state le ore tredici. Roma-Parma, ultima di campionato. Due
ore dopo sarebbe iniziato l’ultimo valzer pazzo di un amore infinito, la
stagione dei miracoli che avvengono, la gioia senza eguali. Fu un altro papà a
costruirci, pezzo dopo pezzo, quel sogno atteso diciotto, lunghissimi, anni.
Franco Sensi. Noi, generazione di giovani cresciuti a pane, pallone e vhs dell’ultima
Roma scudettata dell’83, lo conoscemmo da bambini, nel ’93, quando comprò la
società sull’orlo del fallimento, salvandola e ricostruendola. Lo contestammo
tanto, a volte tantissimo, alla fine degli anni Novanta e fino all’anno prima
del trionfo. Perché? Volevamo vincere, dicevamo, mentre di là la Lazio di
Cragnotti già lo faceva. Anche Sensi lo voleva, ma noi, ingenui, lo capimmo
solo dopo. Quando? il due giugno del
duemila. Papà Sensi ci fa il regalo di fine scuola: Batistuta. Lo paga settanta
miliardi di lire e dodici di ingaggio. Sì, Batistuta è della Roma. Il resto,
per noi, non contava più. Ce lo presenta il sei giugno all’Olimpico, aprendo
gratuitamente le porte a chiunque passasse di là: niente controlli, barriere,
perquisizioni, distanze. Andammo in migliaia e l’argentino, travolto da un
entusiasmo incontenibile, ci disse: «sì, sono qui per vincere» e annuì
sorridendo. Fu il via all’incantevole
avventura della Roma Campione d’Italia. Il presidente comprò altri campioni
spendendo tantissimo. Ma ormai, eravamo già saliti tutti con lui, per mano, sul
treno dei sogni più belli. Provammo a ripagarlo con
il folle numero di quarantaseimila abbonati e a riempire ogni domenica lo stadio all’inverosimile.
In trasferta, poi, meno di diecimila non andavano. Provarono anche, per motivi
di ordine pubblico, a spostare Fiorentina-Roma al lunedì (un sacrilegio per
l’epoca), giorno lavorativo; così, pensavano, sarebbero riusciti ad evitare
l’esodo di quindicimila romanisti. Niente da fare, a Firenze andarono
ugualmente quindicimila anime devote esponendo il beffardo striscione “semo tutti parrucchieri”. Quel pazzo campionato,
partito tardissimo, il primo ottobre, si chiuse il diciassette giugno duemilauno,
in uno stadio in estasi. All’uscita, seguendo il fiume festante di persone, mi
ritrovai poco prima di Piazza del Popolo, nel delirio. Ancora però, non avevo
sentito papà. I “social” grazie a dio non esistevano ancora e i cellulari li
usavamo poco. Trovai una cabina, di quelle ancora funzionanti. Poche, felici e
indimenticabili parole. La festa durò mesi, in
tutti i quartieri, nessuno escluso. Il ricordo di quella gioia condivisa è
dedicato a tutti quelli che ieri c’erano e oggi no: mamme, papà, fratelli,
sorelle, zii, nonni e amici. Poi, certo, il Circo Massimo. Una sera magica. Dove, immersi nella Storia e stretti l’un l’altro, sventolammo un milione di bandiere e cantammo una gioia infinita. Poi, dal palco, ci venne incontro un uomo con un sorriso umile e felice. Allargò le braccia ad accoglierci tutti, ad alzarci al cielo come un bimbo col papà. In lacrime, lo ringraziammo di cuore. Qualche giorno fa, mi scrive un vecchio amico del liceo. Un messaggio, una foto: il suo astuccio dell’epoca, pieno di scritte di ogni tipo. A destra, in alto, su tutte: “17/06/2001: viva la Roma Campione d’Italia”.
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