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Sociale a Roma 17 novembre 2021 Quel senso di precarietà Molto alto il tasso di disoccupazione in Italia. Un lungo periodo difficile da gestire Non c’è lavoro. Colpa
della crisi, dicono. Che non nasce però soltanto dall’emergenza Covid ma che è
figlia di anni di malagestione e sperperi insistiti. Su scala europea,
soprattutto di lacerati equilibri finanziari, che hanno spinto il “Vecchio
Continente” dentro un tunnel buio ed inquietante. L’ Italia è tra quelle
messe peggio. Quando finirà? Difficile dirlo. Quel che è certo, è che nessuno
restituirà all’odierna generazione di giovani post laureati (e non) la
possibilità di realizzare le proprie ambizioni, di avvicinarsi ai propri sogni.
Certo, si potrebbe obiettare che nessun Paese ha il dovere di garantire la
piena realizzazione dei sogni di ciascuno. Già. Tuttavia, uno Stato dovrebbe
agire nella direzione del soddisfacimento sociale del cittadino, garantirgli
una possibilità, seppur minima, di stabilità. Riassumiamo il tutto con
un termine: precarietà. Che non è solo, come può sembrare, lavorativa. Tocca
tutti i livelli. diventa subito precarietà familiare, poi emotiva e sociale.
Una precarietà assoluta diremmo, un’ assoluta instabilità individuale. Mancanza
di prospettiva universale, che abbatte i futuri progetti di vita, l’obiettivo
di una casa, di una famiglia, ma anche, perché no, di viaggiare, muoversi,
conoscere. Precarietà di vita. Forse
si, rende meglio l’idea. D’altronde, spiegateci voi se è accettabile che in un
Paese in cui la stragrande maggioranza di chi ha messo anima, cuore e finanze
in studi universitari si trova adesso fermo, immobile, quasi stordito dalle
rare e sbiadite offerte di lavoro. E allora fugge, se può, verso altre realtà
europee, a caccia disperata di un’occasione di vita che spesso neanche trova. Come funziona lo sapete.
L’80% dei giovani che risponde a un’offerta di lavoro viene respinto al
mittente, come un muro di gomma che ti riporta sempre allo stesso punto e che,
spesso, neanche ti spinge a riprovarci. E stai lì, fermo. Anzi, in realtà ti
muovi, cerchi di tutto, disposto a reinventarti anche per quello che non sei,
buttando a mare quello che hai studiato pur di trovare la tua stabilità, per
fuggire dal buio della precarietà. In realtà, più ti muovi
più sei immobile, e questo a lungo andare ti snerva, ti abbatte, in certi casi
ti deprime. L’altro 20% ce la fa, o
quasi. Di questi, circa la metà, quelli che sono usciti dagli unici campi che
ancora garantiscono concrete prospettive (informatica ed ingegneria su tutte),
trova un bel posto con ottime possibilità di carriera e, quindi, zero
precarietà. Gli altri invece, si
accontentano di un’occupazione instabile, diremmo estemporanea. Qualche mese
sottopagato, più spesso a titolo gratuito (non ridete), ma soprattutto, ed è
qui il vero senso di precarietà, senza alcuna prospettiva. Ti dicono: questo
lavoro inizialmente non prevede retribuzione. E tu ci stai ugualmente, sperando
che impegnandoti al massimo arriverai nel tempo a “guadagnarti” il tuo
stipendio. Sbagliato. Non ti prendono in prova, non vogliono tastare prima le
tue capacità per poi assumerti. No, questo succede nelle società civili. Ora
funziona così: se accetti la nostra “proposta”, lavori quasi gratis per un
anno, in alcuni casi addirittura due. E poi? Poi niente, che pretendi. La
risposta è quasi sempre quella: in questo momento non possiamo garantire nulla
per il futuro. Il risultato? Lavori gratis. Non è fantascienza. Questo crea precarietà
estrema, non solo lavorativa ma di vita, che finisce inevitabilmente per
intaccare anche la sfera emozionale e quindi i rapporti interpersonali. Non hai un’indipendenza
economica, tantomeno una solidità. Se sei fortunato, c’è una famiglia alle
spalle sulla quale contare. Ma in realtà sei solo. Stretto da una società che
non offre più nulla. Neanche un sogno da
sognare.
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