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Sociale a Roma 26 novembre 2021 Elogio della timidezza Nella società moderna dove l’apparire sovrasta l’’essere, recuperiamo la vera umanità Un pensiero
controcorrente. Soprattutto se racchiuso all’interno di una società intrisa di
dubbia moralità e risibile superbia. In un agglomerato umano eticamente
declinante, pieno di tracotante e illusoria spavalderia, per dirla senza
inutili giri di parole. Di che parlo? Della messa
al bando di alcuni modi d’essere, ormai additati come “eretici” dal mondo
contemporaneo. Chi ne è “affetto”, rischia grosso, addirittura il posto di
lavoro. Avete capito bene. D’altronde, basta dare un’occhiata alle (poche)
offerte di occupazione che ci propina il lacerato mondo del lavoro: un fiorire
di aziende, molte discutibili, che offrono la possibilità di “formare” dei veri
e proprio manager, grazie a dei corsi specializzati (e lautamente pagati), nei
quali arrembanti mental coach “ripuliscono” alcuni tratti del tuo modo
d’essere, portandoti ad un livello di efficienza comportamentale (a detta loro)
perfetto, impeccabile, pronto per il moderno ambiente di lavoro. Cancellati di
colpo imbarazzo, insicurezza, esitazione. Una volta “creato” il manager che c’è
in te, non avrai più paura di nulla, zero dubbi, zero ripensamenti. Evviva. Già, evviva. Chi ha avuto
la fortuna (o sfortuna) di assistere a colloqui del genere, sa benissimo a cosa
mi riferisco: un egocentrismo portato all’ennesima potenza, capacità di
emozionarsi limitata al minimo indispensabile, rapporti interpersonali finti,
frivoli. Manager apparentemente pieni di sé ma in realtà tremendamente vuoti,
pregni di una solitudine celata da una superbia effimera, transitoria, che cela
spesso una profonda fragilità d’animo. La prima cosa che ti
dicono è come fare a combattere la timidezza, la radice da estirpare. Il
dizionario “Treccani”, alla voce timidezza, elenca questi sinonimi:
“riservatezza, ritrosia, esitazione, goffaggine, imbarazzo, impaccio,
insicurezza, soggezione”. Bene, alcuni elementi sono da intendersi in chiave
negativa, non c’è dubbio. Ma non tutti. Prendiamo il primo: la
riservatezza. Che c’è di inopportuno nell’essere riservati? Personalmente, ho
sempre apprezzato molto questo modo d’essere quasi prezioso, delicato, come
nascondere dolcemente una parte di te, spesso una raffinata eleganza d’animo.
La riservatezza ti permette di creare un legame ancora più forte con la persona
che hai davanti, sia perché il tempo per “scoprirla” e conoscerla aumenta,
insieme alla durata e la qualità del rapporto, sia perché una volta che la
persona si aprirà completamente a te, ti renderà partecipe di un qualcosa di
ancora più prezioso, personale e quindi speciale. Che renderà unico il legame. Prendiamone un altro:
l’imbarazzo. Certo, in dosi esagerate ha effetti nocivi nei rapporti
interpersonali, è evidente. Nel contempo però, perché gli viene attribuita
sempre una connotazione negativa? Esempio pratico, forse troppo: che c’è di
male nel comportamento di qualche ragazza che ancora arrossisce e si imbarazza
dinanzi a un complimento o a un bacio? Nulla. E’ solo uno dei tanti
casi che potremmo elencare. Il problema di fondo, è che non ci accorgiamo più
di nulla, compressi in questo vortice di vita virtuale, in cui “condividiamo”
sui social network, annichiliti da una finta socialità, in cui la gara è tra
chi si mostra più “forte”, più “sicuro”, in base ai falsi stereotipi
dell’odierna società, dove ogni rapporto sembra uguale all’altro, dove la
maggior parte dei legami sentimentali finisce presto, lacerati dall’ovvio di
una superficialità trasformata in normalità. Dove una tenera carezza non conta
quasi più e un’ingannevole superbia abbatte tutto. Anche quel po’ di dolce
timidezza.
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